Glastonbury vuol dire Arcade Fire, Metallica, Lana Del Rey, Massive Attack... ma vuol dire anche M+A.
Un orgoglio nazionale che vale molto più del tifo nazionalista calciofilo o del patriottismo più becero perchè è un orgoglio che ha il sapore del riscatto, in un paese che mediaticamente continua a supportare la melma ammuffita, il tradizionalismo e qualsiasi cosa che non sia minimamente al passo con i tempi.
Questa volta se ne sono accorti anche ai piani alti ed è un mezzo miracolo tanto che in un impeto di bontà sono disposto anche a perdonare l'etichetta di "esordienti" assegnata al duo di Forlì da Repubblica in un articolo da mezza pagina sul numero odierno.
Nel mio piccolo ho sempre apprezzato l'operato dei M+A, inserendo il praticamente introvabile esordio (M+A) al 13° posto dei migliori album italiani del 2011 , la sua versione riveduta e corretta, Things.Yes, uscita qualche mese dopo alla 10° posizione dei migliori album italiani del 2012 (anche se uscì sul finire del 2011) e il più recente These Days al 10° posto dei migliori album italiani del 2013.
Che la mia opinione sia un minuscolo puntino in un mare informativo è normale, meno normale è che lo sia quella di decine di siti specializzati, webzine e blog piuttosto famosi.
L'impresa dei M+A avrà qualche impatto tangibile sulla musica italiana generalista e/o sulla percezione mediatica che si ha di essa? Rispondere affermativamente sarebbe pura utopia. Purtroppo quasi certamente la situazione non cambierà di una virgola, dopotutto sono anni che artisti e gruppi italiani fanno il giro del mondo e partecipano ai festival più importanti (Brothers in Law al SXSW 2013 i primi che mi vengono in mente) ma per l'italiano medio e, ancora peggio, per il giornalista medio, l'Italia è rappresentata nel mondo da Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Zucchero e Andrea Bocelli (tra l'altro quest'ultimo è l'unico che continua a vendere discretamente fuori dai confini nazionali).
Qualche minimo segnale incoraggiante è arrivato (con colpevolissimo ritardo) con un'apparente maggiore esposizione mediatica di un certo modo di intendere l""""indie"""" italiano ma l'impressione è che alla base di tutto - oltre alla consueta incompetenza mista al dover fare girare l'economia - ci sia anche un problema di lingua. Questo però è inammissibile e lo è per due motivi:
- Non è possibile che ancora oggi un paese importante come l'Italia sia frenato dall'incapacità di andare oltre alla madrelingua
- Una buona percentuale degli ascoltatori passivi ascolta già canzoni in inglese, quindi non ci si può appellare al "sì, ma non capirebbero i testi"
E allora per piacere iniziamo a passare in radio i Drink To Me, i Brothers in Law o gli M+A (ma andrebbe bene chiunque tra quelli presentei in questa playlist... e ovviamente non solo) e ad annunciare al TG certe uscite discografiche invece che pompare l'ennesimo singolo uguale di Ligabue o di informare la popolazione del cambio di look di Arisa...
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